(In)carichi speciali – La gerla, le donne, l’arme e gli oneri
Anni fa in occasione della festa della donna pubblicai questo mini-poster:
Il fatto che il concetto espresso fosse legato all’uso di un cesto mi pareva piuttosto simpatico e adatto a questo sito. Ma in effetti mi trovo a pensare che c’è di più. Qualche settimana fa ho letto su La Stampa un articolo che non c’entrava nulla con l’argomento. Parlava dei 150 anni di Palazzo Oropa, sede del Municipio di Biella. Vi si citava a sua volta un articolo scritto 150 anni fa in occasione delal sua inaugurazione. L’ignoto giornalista concludeva con un appunto:
Non so se ad alcuno del Municipio sia toccato in sorte quel che giovedì scorso è a me successo. Se ciò non fosse benché poco simpatizzi per lui, non glie lo vorrei augurare. Passavo sotto i portici affollati come possono essere in giorno di mercato. Ad un tratto batto ruvidamente la testa in un oggetto non molto elastico. Quest’oggetto era costituito da una gran cassa sopra posta ad una gerla sotto cui stava una donna che faceva da forza motrice. Prima che fui in fondo ai portici sapete quante gerle cariche di oggetti voluminosi ho incontrate ? Nientemeno che sette. Caro Municipio dimmi un po’e non é questo un continuo attentato alle teste ed alle spalle degli ambulanti ? A mio parere nè le gerle nè i cesti dovrebbero transitare sotto i portici ma bensì in mezzo alla strada. Ove a te così parimenti
sembrasse potresti fare un’opera meritevole col cercar di rimediarvi. E con questo ti saluto.
(L'Eco dell'Industria 22/10/1871, pag. 6 )
Una delle cose che mi ha incuriosito di questo brano è che si facesse riferimento specificatamente alle donne e che erano talmente tante da richiedere una “corsia separata”…. come se fossero camion! E poi bel ringraziamento per questo pesante lavoro che qualcuno deve pur fare! Ma si sa: anche l’urbanistica può essere maschilista.
In effetti essendomi trasferita da qualche anno a Biella, conoscevo poco le gerle e non sapevo che erano usate in special modo dalle donne, proprio perché consentono di trasportare agevolmente carichi pesanti e/o voluminosi, come una sorta di “zaino vegetale”. In effetti una delle prime volte che ho visto una gerla dal vivo era in una statua realizzata con oggetti della vita rurale esposta alla Villa Piazzo di Pettinengo: qui la gerla con le sue bretelle simula la gonna e le braccia, ovviamente, di una donna.
Non c’è da stupirsi quindi che l’uso (letterale) della testa per trasportare carichi sia molto più diffuso al sud (dove non esiste la gerla) che al nord. La gerla d’altra parte è più semplice da portare e non occorre un addestramento, come invece succedeva dalle mie parti col “trasporto a testa”. Addestramento, tra l’altro, di fatto precluso agli uomini. Le mie nonne ciociare potevano fare interi traslochi facendo danzare mollemente sulla testa merce più grande e pesante di loro. . . Ma certo i mitici mal di testa, collo e schiena delle nostre nonne assumono tutto a un tratto un significato più profondo…
La praticità della gerla risalta ancora di più nelle zone montagnose. Durante la Prima Guerra Mondiale addirittura c’erano in Carnia “donne-mulo” munite di gerla, pagate per trasportare materiale bellico. Queste donne trasportavano bombe, come le mie conterranee durante la Seconda Guerra Mondiale scappavano dalle bombe portandosi via il loro mondo rinchiuso in una cofana sull testa….
In effetti ora, al riparo delle automobili, possiamo vederla come una cosa poetica. Per secoli i cesti hanno cosentito a chi era (o era considerato) più debole di “farsi carico” dei guai combinati da altri. Letteralmente e metaforicamente. L’arguto giornalista biellese del 1871 ha quindi “sbattuto la testa” non solo su una gerla, ma anche su una questione sociale. Letteralmente e metaforicamente.