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Con la cesta fra le nuvole: la filosofia nella cesteria secondo Socrate

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Ma serve veramente un cesto? Nell’era della stampa 3D, conviene puntare sulla bellezza o sulla funzionalità? E se invece ne comprassi uno già “bello e fatto”, ma fatto male? Tanto l’importante è l’effetto…..E quale sarebbe il giusto prezzo?

Ci si fa queste domande prima di preparare tutto quello che serve per fare un cesto (inclusi il tempo e la voglia di rimettere tutto a posto dopo).

Dei tormenti dei giovani artigiani dell’epoca post-plastic-apocalittica si occupò a suo modo anche Socrate. Al filosofo Aristippo che gli chiedeva di definire il bello e il buono, rispose che le persone e le cose “sono consiederate belle e buone in relazione a ciò per cui sono utilizzabili”.

La più costosa pattumiera al mondo: l’opera Garbage Can dell’artista Sylvie Fleury, in acciaio placcato oro, venduta a 13.750 dollari

“Forse” chiese Aristippo “anche la cesta dei rifiuti è bella?”

“Si, per Zeus! E in verità uno scudo d’oro è brutto nel caso che, per le rispettive funzioni, l’una sia ben fatta, l’altro male.”

Riassumendo: “non è bello ciò che è bello: è bello ciò che funziona.” E chi non è d’accordo “ha un bidone della spazzatura al posto del cuore” (come direbbe Buffon).

D’altra parte il paragone con lo scudo è significativo, perchè a quei tempi gli armamenti erano oggetti personali molto preziosi e prestigiosi: il mitico scudo di Achille gode di 130 versi di descrizione nel diciottesimo libro dell’Iliade. Ma l’aspetto funzionale era fondamentale: ne valeva letteralmente la vita. Così quando Socrate incontra il corazzaio Pistia, gli chiede chiaro e tondo perchè le sue corazze costano così tanto se non sono più resistenti o più decorate delle altre. Lui gli risponde che sono più “euritmiche”, ossia ben proporzionate. Socrate si improvvisa consulente marketing e gli spiega che per “proporzionate” Pistia intende personalizzate, in modo da adattarsi al corpo del cliente e non impacciarne i movimenti. Pistia a questo punto va in brodo di giuggiole e dice cose che si possono sentire in bocca a qualsiasi artigiano ancora oggi:

“Hai spiegato proprio il motivo per il quale io sono convinto che i miei lavori siano di grande valore; alcuni, tuttavia, preferiscono comprare corazze decorate e dorate”

“Eppure” osservò Socrate “se per questo motivo comprano corazze che non vanno bene per loro, mi sembra che comprino un male decorato e dorato.”

Ogni riferimento alle scarpe con i tacchi a spillo è puramente casuale, ma decisamente azzeccato. E poi c’è chi dice che i filosofi non si occupano di cose pratiche e hanno la testa fra le nuvole! Direi che in questo caso hanno la cesta fra le nuvole. Letteralmente.

Socrate nella cesta (stampa del XVI secolo)
Socrate nella cesta (stampa del XVI secolo)

In una scena della commedia “Le Nuvole” di Aristofane, il vecchio Strepsiade, in cerca di Socrate, lo vede appeso per aria e gli chiede cosa sta facendo.

Socrate – Per l’aere muovo e il sole scruto.

Strepsiade – E così tu gli dèi, li guardi dall’alto d’una cesta. Non potresti da terra, semmai?

In sostanza dunque, Socrate si occupò oltre che di filosofia della cesta, anche di filosofia nella cesta.

O forse no? Da notare che mentre nella prima citazione si usa la parola greca cofinos (molto simile al corenese cofeno), nella seconda si usa la parola tarros, (simile al corenese rata) tradizionalmente tradotta con “cesto”, ma che in realtà indicherebbe il graticcio ( la rata appunto) che si usava per appendere i formaggi a stagionare (cosa non molto lusinghiera comunque nei confronti di Socrate).

Produzione di un cesto da mongolfiera
da http://les-ballons-chaize.fr/site/les-nacelles/

Ma né Aristofane ne i traduttori e gli illustratori che nei secoli hanno messo Socrate nella cesta, potevano immaginare che un giorno i cesti sarebbero veramente serviti a toccare il cielo con un dito: ancora oggi vengono usati nelle mongolfiere per la loro leggerezza, flessibilità e resistenza.

E’ proprio vero: quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.

Fonti:

Senofonte, Memorabili, III, 8 (4-7) e 10 (9-15), trad. Anna Santoni, Rizzoli 1989, pagg. 266 e ss.

Aristofane, Le Nuvole, vv. 218-234, trad. Fabio Turato, Marsilio 2001, pagg. 86-89, 197-8

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